Il teatro arabo moderno nacque grazie all’intuizione di uomini e donne che videro in questo tipo di arte un mezzo di sviluppo sociale e culturale.
L’apporto della drammaturgia europea, per la sua importanza, è impossibile da trascurare.
I viaggi degli intellettuali musulmani in Europa e le tournèe delle compagnie italiane, francesi, o inglesi nel mondo arabo e islamico contribuirono a questo prezioso scambio culturale durante il periodo della Nahdah, il “Risveglio” sociale ed intellettuale che per tutto l’Ottocento attraversò il mondo islamico.
I protagonisti del teatro arabo capirono immediatamente il valore didattico di quest’arte, capace di descrivere e mostrare le situazioni della realtà, analizzandone con spirito critico il contesto sociale e politico.
Il teatro, dunque, fu un mezzo di rottura, di crollo per molti tabù: le donne poterono assistere agli spettacoli fino a diventare esse stesse attrici; si misero in scena pièce riguardanti i personaggi della storia classica la cui memoria, fino a quel momento, era stata custodita gelosamente.
Non mancò nemmeno una fervida critica alle autorità.
Inoltre molti protagonisti del teatro arabo furono vicini ai movimenti nazionalisti, socialisti e riformisti. Utilizzarono il mezzo teatrale per veicolare le proprie idee e denunciare i problemi della società.
Il teatro, però, ebbe anche un altro merito: riuscì a formare il pubblico, ad educarlo, a formare coscienze e spirito critico.
Le prime rappresentazioni si svolsero in case private alla presenza dell’élite locale. Pian piano vennero costruiti teatri in grado di ospitare anche duemila persone, dove si ritrovarono, uno accanto all’altro, uomini di etnie diverse, di differenti credi religiosi, analfabeti e intellettuali.
Prossimamente vedremo, per cominciare, tre figure di spicco della drammaturgia araba: Marun Ibn Ilyas Al-Naqqash, Abu Khalil Al-Qabbani e Yaqub Ibn Rafa’il Sanu.
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