Visualizzazione post con etichetta mondo arabo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta mondo arabo. Mostra tutti i post

lunedì 17 giugno 2013

Sahara (1983)

L’articolo di oggi è dedicato ad un film che la televisione non trasmette più da anni e che, forse, non ricordano in tanti. Eppure quando uscì, nel 1983, ebbe un buon successo di pubblico e, nonostante la critica non sia mai stata generosa, il film non è assolutamente da buttar via.

“Sahara” (1983) è un film diretto dal regista britannico Andrew V. McLaglen e ambientato nel 1928. Dale è la figlia di un costruttore d’auto che, per salvare l’azienda di famiglia, decide di travestirsi da uomo pur di partecipare ad una gara automobilistica nel Sahara. 

Tra i suoi rivali c’è Von Glessing, un tedesco che, usando la gara come copertura, vende armi alle fazioni tribali in lotta tra loro. Durante la corsa Dale viene rapita da un gruppo di beduini ritrovandosi proprio al centro di queste lotte intestine, ma anche di una inaspettata e travolgente storia d’amore con Jaffar, il capo di una delle tribù contendenti.

Il film mescola avventura, amore, scenari esotici da Mille e Una Notte, odio, guerra, invidia e rivalità fra clan. Nella parte dei protagonisti troviamo Brooke Shields, a cui venne assegnato il sarcastico “Razzie Award” per la sua interpretazione e Lambert Wilson, che ha lavorato in diverse produzioni americani, tra cui Matrix Reloaded e Matrix Revolutions. Di storie d’amore tra belle avventuriere e sceicchi del deserto ce ne sono tante e tutte, più o meno, seguono uno stesso leitmotiv. 

In questo film, però, queste vicende amorose tra i due protagonisti si intrecciano con dei temi
molto importanti ed attuali, come il traffico d’armi e le battaglie fra tribù rivali. La pecca, in effetti, sta proprio qui: due argomenti così importanti e complessi potevano essere affrontati in altro modo senza togliere nulla al fascino del film, dei protagonisti e della storia d’amore.

La sceneggiatura ha un buon livello ed anche l’ambientazione è ricostruita molto bene. Purtroppo, però, il film risente dell’immagine che l’Occidente ha elaborato per pensare l’Oriente, cioè di una sfumatura fiabesca eccessiva, un esotismo talvolta forzato e tutto questo è evidente man mano che la storia procede.  

Sahara, dunque, diventa un prodotto ad uso e consumo degli occidentali che vogliono guardare un film sul mondo arabo-islamico, ma senza impegnarsi troppo. 

Una sorta di svago che non deve concedere troppo alla riflessione. Un peccato, poiché gli spunti sono molteplici e notevoli, ma usati piuttosto male. Il livello della recitazione non è poi tanto malvagio e l’idea di partenza, una donna che si traveste da uomo per partecipare ad un rally alla fine degli anni Venti, è ottima e poteva essere sviluppata mettendo in risalto la personalità decisa della protagonista che cede di fronte all’amore, ma comunque non dimentica il dovere di portare a termine gli obiettivi intrapresi. 

Ciò, invece, viene mostrato solo a tratti (per esempio quando Dale abbandona l’accampamento per riprendere la gara, pur essendo già innamorata di Jaffar), ma manca un vero approfondimento psicologico, una caratterizzazione più profonda e sfumata, al contempo, dei protagonisti. Sahara è una buona occasione sprecata ma la visione di questo film non è certo da sconsigliare. 

Un’ora e mezza di intrattenimento che fa sognare (e di questi tempi ce n’è bisogno), che fa muovere la mente verso luoghi ed atmosfere diverse e non sempre accessibili. 

Perché non riproporre il film in televisione (ad un orario decente) e, magari realizzare una versione italiana del DVD?



martedì 11 dicembre 2012

La Lingua Araba

Introduzione

L’arabo è una lingua affascinante, di enorme bellezza non solo “visiva", ma anche “sonora”. La sua padronanza, inoltre, amplia notevolmente gli orizzonti mentali e culturali. Per chi l’apprende è una continua scoperta che richiede passione, pazienza, tenacia e molto studio.

Il luogo comune più diffuso riguardo all’arabo è che sia una lingua molto difficile. Inutile nasconderlo; in parte ciò è vero. Per essere del tutto sinceri, bisogna ammettere che ci sono aspetti dell’arabo che risultano più complessi per un madrelingua italiano, altri, invece più semplici. 

Di certo conta molto la motivazione, l’impegno, la costanza, l’attitudine ad apprendere le lingue, il tempo a disposizione. Questi fattori, ovviamente, variano da persona a persona. Inoltre non si deve mai dimenticare che una lingua è strettamente collegata alla propria cultura. Solo accostandosi contemporaneamente all’una e all’altra si potrà affinare il proprio spirito critico e la propria conoscenza del mondo.

E’ importante acquisire la consapevolezza della molteplicità di culture che popolano la Terra e della loro percezione della realtà. Nel caso specifico della lingua araba si deve correggere fin da subito un errore che molti tendono a fare: è arabo chi abbia come lingua madre l’arabo; è musulmano chi abbia l’Islàm come credo religioso. 

I due termini non sono per niente sinonimi, come erroneamente ritiene qualcuno. La maggior parte degli arabi è musulmana, però non si deve dimenticare che esistono anche arabi ebrei ed arabi cristiani. 

D’altra parte tantissimi musulmani non sono arabi, cioè la loro lingua materna non è l’arabo: pensiamo ai malesi, ai persiani o ai turchi, per esempio. L’Islàm, inoltre, è una religione che riconosce sia il Cristianesimo che l’Ebraismo come suoi diretti predecessori e non solo per un fatto meramente cronologico. 

Questa nuova sezione si propone di spiegare ed approfondire la nascita, la storia, gli stili, il valore religioso e la diffusione di questa splendida lingua, sfatando alcuni pregiudizi duri a morire. Non solo: le lettere arabe hanno una complessa simbologia che La Mano di Fatima analizzerà man mano. 

Intanto si può iniziare dando un’occhiata alla forma “esterna” dell’arabo (si consenta il termine improprio ma diretto) per poi passare agli altri argomenti. Ovviamente questo non è e non vuole essere un corso di arabo. Ne esistono già di ottimi, scritti da specialisti della materia e, certo, questo blog non ha tali finalità. 


Aspetti generali dell’arabo

Dal punto di vista fonologico la lingua araba presenta dei fonemi inesistenti in italiano ed è proprio su questi e sull’alternanza tra vocali brevi e lunghe che bisogna lavorare intensamente durante i primi mesi di apprendimento.

Relativamente alla morfologia, invece, le difficoltà, all’inizio, possono disorientare un po’, ma occorre ricordare che la morfologia araba ha un buon livello di regolarità. 

La sintassi non presenta un particolare grado di difficoltà, ma, anche in questo caso, ci sono regole che vanno imparate e a cui bisogna prestare una certa attenzione.

Il lessico, poi, necessita una particolare applicazione, in quanto l’arabo è una lingua semitica (come l’ebraico), non indoeuropea (come l’italiano o l’inglese); ciò significa che non è intuibile la parentela tra una parola araba e una italiana. 

L’arabo presenta anche altre difficoltà: l’alfabeto è sinistrorso, cioè si scrive da destra a sinistra, il sistema vocalico possiede solo tre timbri /a, i, u/ che possono essere brevi o lunghi. Spesso le vocali brevi non vengono segnalate nella scrittura e questo può creare la possibilità di diverse letture di una stessa parola. Di solito il contesto chiarisce l’ambiguità, ma non sempre. Inoltre ogni lettera ha forme diverse a seconda della posizione che occupa nella parola: iniziale, mediana, finale o isolata. 

L’arabo a cui ci si riferisce qui è lo standard contemporaneo, lingua ufficiale dei Paesi che aderiscono alla Lega Araba, insegnato nelle scuole arabe, in cui vengono scritti i giornali e i libri degli autori arabi del Novecento, che si può ascoltare in televisione o alla radio. 

Questa lingua deriva dall’arabo classico, cioè dalla lingua in cui è stato scritto il Corano, ma la sua storia è ancora più lunga e affonda le radici addirittura nell’Arabia preislamica. Dal XIII sec. In poi dell’era cristiana (VI dell’Egira) l’arabo classico diventa una lingua per pochi eletti, di solito letterati. Nella vita quotidiana, intanto, si affermano le parlate neoarabe

Dall’Ottocento in poi con la Nahda (il Risveglio) letterario e sociale, questa lingua torna a nuova vita, modernizzandosi e creando neologismi grazie anche all’apporto di scienziati e letterati arabi. Nonostante questo, però, l’arabo standard non si è ancora imposto come lingua di tutti i giorni, ma è tuttora ancorato all’ambito formale già citato. Infatti è l’arabo dialettale, o neoarabo, ad essere usato nelle situazioni di tutti i giorni e diverso da Paese a Paese (ma anche da regione a regione all’interno di un singolo Stato).

Chi conosce solo lo standard non comprende le parlate dialettali. Dunque coloro che si accostano all’arabo, se non hanno solo interessi letterari, dovranno imparare lo standard e almeno un dialetto. Quest’ultimo, una volta appreso lo standard, si impara con una certa facilità. A questo link trovate l’alfabeto con il nome delle lettere, la pronuncia e la relativa trascrizione. 


Bibliografia

Mion Giuliano, "La Lingua Araba" ed. Carocci, 2007;
Durand Olivier, Langone Angela Daiana, Mion Giuliano, "Corso di arabo contemporaneo", Hoepli, 2010.
















































































































































































domenica 25 novembre 2012

Umm Kulthum. La Voce d’Egitto

Non esiste una cantante più famosa ed amata di lei nel mondo arabo. La sua voce potente, i versi struggenti e la gestualità elegante l’hanno resa una icona riconoscibile ed indimenticabile: Umm Kuthum (1904-1975) è e sarà sempre la Voce d’Egitto e l’anima musicale di tutto il mondo arabo. Le fonti sono discordanti riguardo la data di nascita, ma l’ipotesi più probabile è il 4 maggio 1904. 

Fatima Ibrahim Al Biltagi, questo il vero nome di Umm Kulthum, nacque in Egitto, nella città di Al-Sanballawayn, da una famiglia di umili origini. Fin da piccola Fatima dimostrò un grande talento per il canto, al punto tale che suo padre, all’epoca direttore di una piccola compagnia teatrale, la fece travestire da ragazzo per permetterle di esibirsi.

 All’età di 23 anni, dopo essere stata notata dal cantante Abu El Ala Mohamed e dal liutista Zakaria Ahmed, si trasferì al Cairo. Lì fece l’incontro più importante della sua vita, quello con il celebre poeta Ahmed Rami (1892-1978), che scrisse ben 137 canzoni per lei, versi che divennero immortali. Il 1932 fu, per Umm Kulthum, l’anno dell’ascesa trionfale: iniziò tournée in grandi città come Baghdad, Tripoli e Damasco, ottenendo un grande successo

Nel 1948 arrivò ad incontrare il presidente egiziano Nasser e da quel momento la sua fama non conobbe battute di arresto, sostenuta anche da un grande amore per l’Egitto e dal fervente patriottismo di cui erano intrise le sue canzoni. 

Si sposò nel 1953 con il medico Hassan Al Hifnawi, facendo includere nel contratto matrimoniale una clausola che le avrebbe permesso, qualora fosse stato il caso, di divorziare. 

Ammirata anche in Europa, lo stesso De Gaulle non fece mistero di apprezzare la sua arte, continuò a cantare divenendo una vera e propria icona musicale e di stile. Tentò anche la carriera di attrice, ma l’abbandonò quasi subito, poiché non le dava le stesse emozioni che provava sul palco.

Ammalatasi di nefrite, si trasferì negli Stati Uniti per curarsi. Quando divenne evidente che la sua malattia era inoperabile, nel 1975, rientrò in Egitto. Venne ricoverata tra le accorate preghiere degli egiziani e si spense al Cairo il 3 febbraio di quello stesso anno. 

Al funerale un fiume umano di 10 Km accompagnò il feretro dalla sua casa fino al cimitero. L’Egitto e l’intero mondo arabo si fermarono per dare l’ultimo saluto alla donna che aveva cantato l’amore in ogni sua sfaccettatura, allo stesso modo in cui, quando era in vita, il Parlamento egiziano interrompeva ogni attività politica pur di poter ascoltare i suoi concerti alla radio. 

Umm Kulthum aveva una voce ed una presenza scenica eccezionali: oltre alla tecnica, impeccabile, con la quale modulava ogni singolo suono, talvolta quasi salmodiando, possedeva anche una rara capacità di improvvisazione, che le consentiva di arricchire ogni canzone con vibrazioni diverse.

Umm Kulthum era una perfezionista; amava migliorarsi, dare ogni volta il massimo e non fece mai mistero della severità con cui giudicava se stessa e le sue esibizioni. Creò dal nulla uno stile ed un repertorio, circondandosi di poeti e compositori tra cui il già citato Rami e Bayram Al-Tunisi. 

Salmodiò con la stessa grazia e naturalezza i versi del Corano e quelli del poeta persiano Umar Khayyam. Le sue canzoni sono letteratura in musica, vere e proprie liriche dedicate all’amore tra innamorati, alla passione, al desiderio di indipendenza del popolo ed al sentimento patriottico e di lealtà verso l’Egitto.

In poco tempo le si schiusero le porte del Palazzo reale e dei salotti più importanti. Umm Kulhum stregò generazioni di arabi (non solo egiziani) ed i suoi dischi sono venduti ancora oggi. Non è una esagerazione definirla una leggenda. Inoltre fu una self-made woman dal carattere forte ed orgoglioso.

Imparò fin da subito a tenere ben nascosta da sguardi indiscreti la vita privata e selezionò accuratamente ogni intervista, scegliendo addirittura gli argomenti di cui avrebbe parlato. Non accettò mai di essere definita uno “strumento di propaganda” dei regimi, o una donna senza sentimenti. 

Era determinata ed innamorata dell’Egitto, incapace di accettare passivamente che qualcuno decidesse della sua vita o della sua carriera. Seppe, insomma, “amministrarsi”, curando le relazioni sociali e scegliendosi gli amici tra i meno “mondani”. 

Ascoltate le sue canzoni: scoprirete un’artista meravigliosa e dotata di grande personalità, una musica travolgente, dei testi pieni di sentimento ma per nulla sdolcinati ed un modo particolare ed indimenticabile di cantare. 

Un gioiello prezioso e molto raro: Umm Kulthum il diamante d’Egitto. 


Per saperne di più 

V.L. Danielson, “The Voice of Egypt”: Umm Kulthum, Arabic Song and Egyptian Society in the Twentieth Century", Chicago 1997;

Biancani Francesca, “Umm Kulthum. La Voce degli Arabi”, ed. Odoya, 2010; 

Nassib Selim, “Ti ho amata per la tua Voce”, E/O, 1997.

sabato 24 novembre 2012

Khadija: una imprenditrice ante litteram

Khadija al-Khubra, di Guillaume Rouillé (1553)
La prima moglie del Profeta Muhammad, donna forte, intelligente ed “imprenditrice di se stessa”: Khadija bint Khuwaylid (556-619) fu una dei primi seguaci dell’Islam. La sua famiglia apparteneva alla tribù dei Banu Quraysh, la stessa di Muhammad, ma al clan dei Banu ‘Adi (il profeta, invece, a quello dei Banu Hashim). 

Figlia di un ricco mercante de La Mecca, Khuwaylid ibn Asad (morto nel 585 circa) e di Fatima bint Zaidah (morta nel 575 circa), mandò avanti da sola, con sicurezza e coraggio, l’attività paterna, dopo essere rimasta vedova per due volte. Khadijia dimostrò di essere tutt’altro che una donna sottomessa e fragile, accrescendo le sue ricchezze e la sua fama. 

La sua intelligenza insieme alla grande e celebre bellezza ne fecero una donna eccezionale e molto desiderata. Presto le giunse all’orecchio l’eco delle capacità e dell’onesta del giovane Muhammad, cosi lo prese con sé in qualità di fiduciario, consentendogli di gestire i commerci della sua carovana verso Yemen e Siria. Infatti Khadija non viaggiava mai, ma si serviva di amministratori fidati che incaricava personalmente.

I due si innamorarono e Muhammad chiese la mano della ricca vedova attraverso intermediari, come era costume all’epoca. Il loro fu un matrimonio d’amore e finché Khadija visse, Muhammad non prese altre mogli. 

La sposa aveva 15 anni più di suo marito ed al momento del matrimonio era una splendida quarantenne. Dopo le nozze decise di ritirarsi dall’attività commerciale, che affidò completamente al giovane Muhammad e si occupò dei loro figli, quattro femmine (Ruqayya, Zaynab, Umm Khulthum e la celebre Fatima, sposa di Ali) e due maschi morti ancora bambini (Al-Qasim ed Abdallah) . A tal proposito, però, le fonti sono discordanti: alcune parlano di sei, altre addirittura di otto figli. 

Fu la prima a cui Muhammad disse di aver ricevuto la Rivelazione da Dio tramite l’Arcangelo Gabriele. Con lui condivise coraggiosamente il boicottaggio, le calunnie e le minacce dei politeisti, che non vedevano di buon occhio un culto monoteista che avrebbe potuto spazzare via gli dei de La Mecca e dunque anche i guadagni derivanti dai numerosi pellegrinaggi. 

Khadija morì nel 619, lo stesso anno della dipartita dello zio del Profeta, Abu Talib ibn ‘Abd Al-Muttalib, che lo aveva cresciuto ed era diventato suo tutore alla morte della madre, Amina bint Wahb e del nonno ‘Abd Al-Muttalib, (Muhammad, infatti, era già nato orfano di padre).

La morte di Khadija, avvenuta dopo venticinque anni di matrimonio, scavò un solco doloroso e profondo nell’animo di Muhammad ed il suo ricordo rimase sempre vivo in lui. La donna, in vita, si guadagnò la fama di donna dolce, onesta e virtuosa. Numerosi furono gli appellativi che le vennero attribuiti, come “Khadija la Grande” o “Khadija la Pura”.

Khadija fu davvero speciale: abbracciò il neonato Islam senza pensarci due volte, sopportò con pazienza e tenacia tutte le dure prove che ne derivarono, tentò in tutti i modi di proteggere il marito e tra loro regnò sempre armonia e rispetto reciproco. Il loro amore si consolidò con il tempo e nemmeno la morte riuscì a spezzarlo

A quanto pare perfino la consorte prediletta di Muhammad, A’isha, era gelosa del ricordo e della venerazione che il Profeta nutriva per la sua prima moglie. Bisogna dire che Muhammad si circondò di donne dal carattere molto forte. La stessa A’isha fu intrepida, scaltra, impavida ed appassionata. 

A tal proposito vorrei segnalarvi un articolo che ho scritto su di lei. Khadija ed A’isha furono molto diverse tra loro, ma ad accomunarle non fu solo l’amore per Muhammad, bensì l’audacia, l’energia, la voglia di vivere la vita completamente. 

Il tempo le rende distanti anni luce, ma siamo certi che siano cosi lontane da noi? Khadija non è forse una sorta di “businesswoman ante litteram”? Ed A’isha non vi ricorda una grande regina, o un politico ed abile stratega? Da loro possiamo imparare molto. Due figure attualissime che l’Uomo non può e non deve dimenticare.

venerdì 23 novembre 2012

25 novembre: le iniziative del blog

Il 25 novembre è una data importante, dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne. Tanto si è scritto e detto su questo argomento, ma sembra che le parole non siano mai abbastanza.

E’ vero, sono molti i progressi fatti nell’ambito dei diritti delle donne e della loro difesa, ma il cammino è ancora molto lungo e non bisogna abbassare la guardia. Non mi riferisco solo al mondo arabo-islamico, che pure è fulcro di questo blog. Parlo anche del mondo occidentale in cui, sempre più spesso, le donne subiscono violenze fisiche e psicologiche, la loro immagine viene degradata ed il loro corpo ridotto a mero oggetto.

Nonostante la massiccia opera di sensibilizzazione, non possiamo ancora dirci “fuori pericolo”. A tale proposito anche La Mano di Fatima, seguendo la consueta linea “narrativa”, vuole dare un piccolo contributo a questa importantissima giornata. Si tratta di un omaggio a due celebri figure del passato. Le lascio scoprire a voi lettori nei due post che si susseguiranno domani e domenica 25 novembre. 

Perché questa scelta? Perché non parlare, invece, dei drammi che affliggono le donne in gran parte del mondo arabo-islamico? 

Voler ricordare chi è venuto prima di noi non è certo un gesto di negligenza nei confronti di tragedie che tutti abbiamo sotto gli occhi. Al contrario. Ho sempre pensato (e sono in buona compagnia) che senza la conoscenza del passato non si può progredire. Le vite che vi racconterò dovrebbero spronare, essere da esempio per le future generazioni, non importa di che religione o da che Paese provengano.

Si tratta di donne che hanno lottato, amato, sofferto, vinto le avversità anche quando sembravano più grandi di loro e perfino perso. Provengono da un passato anche molto lontano, ma questo non deve trarci in inganno: la fierezza e la dignità non hanno tempo. In questi giorni in cui molte cose sembrano andare per il verso sbagliato, c’è bisogno di modelli positivi. Guardare come queste due donne hanno affrontato il loro tempo può essere utile a noi per capire come guardare al nostro

Ne ho scelte due che mi sembravano rappresentative, ma di esempi da citare ce ne sarebbero tantissimi. Tengo a puntualizzare che non vi parlerò certo di “modelli di perfezione” (nessuno è perfetto). Lo scopo del blog è solo quello di farvi conoscere o approfondire la conoscenza con due icone che ancora oggi sono amate in tutto il mondo arabo islamico. Molto diverse tra loro, ma animate entrambe da passione e determinazione. Quella che serve alle donne (e agli uomini) di oggi per andare avanti. 


Vi segnalo anche un’altra iniziativa, che partirà proprio il 25: il blog “Divine Ribelli” in cui si parlerà di storia delle donne e di donne che hanno fatto la Storia. Verrà preso in considerazione, tra le altre cose, il femminismo e la vita delle donne che con la loro intelligenza e la loro caparbietà hanno cambiato le nostre vite e dato al destino una piega diversa.

martedì 13 novembre 2012

Moulay Ismail: il Re Sole d’Oriente

Moulay Ismail, sultano del Marocco dal 1672 al 1727, fu un sovrano dal carattere deciso, audace in battaglia tanto da passare alla Storia come “re guerriero”

Successore del fratellastro Al Rasheed, fondatore della dinastia Alawita, Moulay Ismail ereditò il titolo di Principe dei Credenti in quanto discendente del Profeta Maometto. 

Il sultano raccolse la gravosa eredità di un Paese sull’orlo del collasso, a causa di lotte tribali e intrighi per la successione. 

Per ottenere rispetto e potere non esitò ad usare il pugno di ferro. Non a caso la Storia lo ricorda anche con un altro eloquente soprannome: sanguinario

Si racconta che le mura della capitale, Meknès, vennero adornate con i macabri trofei di 10.000 teste di nemici, monito per chiunque osasse sfidare la sua autorità. La crudeltà di Moulay Ismail si perde tra verità e leggenda, tramandandoci il ritratto di un uomo capace di far torturare o assassinare con estrema facilità chi gli disobbediva, si trattasse di servi, avversari o concubine. 

Sotto il suo regno la capitale si spostò da Fez a Meknès ed il sovrano si adoperò fino agli ultimi anni della sua vita per farla diventare una città splendente e magnifica, senza eguali. L’obiettivo fu raggiunto, visto che Meknès venne soprannominata “La Versailles del Marocco”. 

A tal proposito occorre ricordare i rapporti tra il sovrano marocchino ed il Re Sole, suo contemporaneo. Sembra che Moulay Ismail provasse una profonda ammirazione per il re francese, al punto da voler emulare la grandiosità della reggia di Versailles, ma anche del potere assoluto di Luigi XIV. 

Arrivò perfino a chiedere in sposa una delle figlie di quest’ultimo, la principessa Marie Anne De Bourbon. Ella rifiutò nonostante le insistenze del suo regale ammiratore. A questo episodio è legata una leggenda molto simpatica: la principessa, al fine di rendere evidente ed indubbio il suo rifiuto alle nozze, fece recapitare al sultano un orologio a pendolo il cui movimento oscillatorio ricordava quello del dito nell’atto di negare. Moulay Ismail, per tutta risposta, fece arrivare in Francia una colonna di marmo, emblema della testardaggine di Marie Anne.

La reggia di Versailles ed il palazzo imperiale di Meknès vennero costruiti quasi contemporaneamente e rimangono, a tutt’oggi, simboli e memoria di due grandi personalità in grado di accentrare saldamente il potere nelle loro mani. 

La cooperazione tra Luigi XIV e Moulay Ismail si estese a diversi campi: nel 1682 il sovrano marocchino inviò un suo ambasciatore a Parigi, Mohamed Temim, allo scopo di studiare e riportare in patria resoconti dettagliati sulle arti e le scienze occidentali. Inoltre, nello stesso anno, Francia e Marocco stipularono un trattato d’amicizia. 

Entrambi i regnanti vedevano nella Spagna e nell’Impero Ottomano delle minacce da tenere il più possibile sotto controllo. Moulay Ismail combatté contro gli Ottomani più di una volta: nel 1679, nel 1682 e nel 1695. 

Durante il suo regno la presenza di schiavi cristiani, catturati dai pirati, fu piuttosto rilevante: proprio questi rappresentarono il tramite tra l’Islam e l’Occidente e vennero utilizzati anche nella costruzione della capitale. 

Si presume che Moulay Ismail abbia generato, nel corso della sua vita, ben 888 figli da circa 500 concubine, un vero e proprio record finora, a quanto se ne sa, imbattuto. Le descrizioni pervenute fino a noi tratteggiano una figura vigorosa, dall’incarnato scuro e dal volto allungato (Germain Mouette, prigioniero francese). 

Dopo la sua morte, nel 1727, i suoi successori continuarono la sua politica e la costruzione di importanti monumenti e nel 1757 Mohammed III spostò la capitale a Marrakesh

Moulay Ismail ha stuzzicato la fantasia di diversi autori: viene menzionato nel “Candide” di Voltaire (capitolo 11), è il protagonista dell’opera “The Sultan’s Wife” di Jane Johnson (2012) ed è uno dei personaggi della saga di "Angelica la Marchesa degli Angeli" di Anne Golon (la sua storia si trova nel volume “Angelica Schiava d’Oriente”, dove viene messa in risalto la sua crudeltà, ma anche il suo amore per l’arte e la scienza). Ora è il protagonista maschile della saga Meknès

Luigi XIV disse: “Lo Stato sono io”. Moulay Ismail, accentuando il carattere divino della sua monarchia sostenne: “Se Allah mi ha donato il regno, nessuno può togliermelo”.

giovedì 27 settembre 2012

Giuha: pillole di saggezza popolare

C’è un personaggio nel mondo arabo la cui origine è antichissima ed in parte avvolta nel mistero. Si chiama Giuha. Forse vi sarà già capitato di sentire questo nome in una delle sue varianti italiane, per esempio il siciliano Giufà o il toscano Giocà

Le sue storie, sapiente intreccio tra saggezza popolare ed umorismo, sono sempre state tramandate oralmente fino ai nostri giorni e questo ha contribuito ad alimentare l’incertezza sulle reali origini di Giuha

La teoria più probabile fissa la “data di nascita” del personaggio nel IX secolo, ma la diffusione delle sue storie nel bacino del Mediterraneo fu cosi rapida e priva di uniformità che è a tutt’oggi impossibile ricostruirne tutte le tappe in modo completo e definitivo. 

Ogni Paese arabo ha il proprio Giuha, dal Maghreb al Mashreq e talvolta viene alterato persino il nome. Alcune caratteristiche, però, sono costanti: il protagonista di questi racconti è rappresentato sempre allo stesso modo (non giovanissimo, con baffi e nasone e tipiche babbucce ai piedi), incoerente, all’apparenza astuto ma, di fatto, ingenuo e piuttosto sfortunato. 

Persino il significato del nome Giuha è simbolico: vuol dire, infatti, “deviare dalla retta via”, cioè avere un comportamento che non ha una logica di fondo né razionalità o coerenza. 

Ogni storia o barzelletta riflette la quotidianità, ha una morale e vuole insegnare qualcosa sul mondo. Gli stessi personaggi sono tipi di un’umanità complessa e variegata, emblema di pregi e difetti che da sempre caratterizzano l’essenza di ogni essere umano. 

Negli aneddoti di Giuha c’è anche un “animale ricorrente”: l’asino, che rappresenta un mezzo di trasporto oppure un oggetto di scambio. 

In Sicilia il personaggio venne ripreso da Giuseppe Pitrè (1841-1916), il celebre studioso di tradizioni siciliane, che ne raccolse in modo sistematico le storie diffuse per tutta l’isola.

Il favolista siciliano Venerando Gangi (1748-1816) gli dedicò un suo racconto, adattato in italiano nel 1845. Proprio a questo adattamento si fa risalire la prima storia scritta di Giuha. 

Negli ultimi anni, però, si sta cercando di fissare per iscritto questa saggezza popolare, raccogliendo tutti gli aneddoti esistenti sul simpatico, sciocco, furbo, ingenuo, divertente Giuha, caricatura dell’intera umanità. 

Presto un post con le storie di Giuha con testo arabo a fronte ed ulteriori approfondimenti sul personaggio in Italia e nel mondo arabo

Bibliografia e fonti 


http://it.wikisource.org/wiki/Una_storia_di_Giuf%C3%A0 Una Storia di Giuha di Venerando Gangi, tradotta da Agostino Longo (1845) 

Kamal Attia Atta, La camicia di Giuha, edizioni EMI, 1997

Francesca M. Corrao Giufà , il furbo, lo sciocco, il saggio, Milano, Mondadori,1991 

L'immagine è tratta dal sito http:///www.arab.it

lunedì 17 settembre 2012

“Meknès” la saga di Lite Editions

Questa settimana appena trascorsa mi ha tenuta lontana dal blog a causa di impegni vari. Il più bello, di cui voglio parlarvi ora, riguarda la pubblicazione dei miei racconti in ebook per la casa editrice Lite Editions. 

La saga, dal titolo “Meknès”, si compone di quattro racconti ambientati proprio nella stupenda città del Marocco, ai tempi del Sultano Moulay Ismail. Sarà in vendita sul sito Lite Editions, collana "Storica" e sui principali bookstores online a partire dal 24 ottobre 2012. 

La storia inizia nel 1679 quando la bella Leila, figlia del medico di corte, intraprende l’addestramento che la porterà a ricoprire il ruolo di favorita del sultano. La giovane dovrà imparare a destreggiarsi tra gli intrighi di corte, la personalità temibile e spietata del sovrano, le invidie e le gelosie dell’universo chiuso ma complesso dell’harem

Leila è una ragazza che vive una vita imposta, ma non avverte il peso della costrizione, almeno all’inizio: i sogni della sua famiglia sono diventati i suoi ed il suo unico obiettivo è diventare moglie e favorita del Principe dei Credenti. Fino a che non scopre l’amore, quello vero, che non si può indurre, ma trascina via ogni certezza… 

Spero che vi piacciano e di leggere anche qui sul blog i vostri commenti. Per il momento vi mostro la cover del primo racconto e vi segnalo la pagina facebook dedicata a Meknès. Ci saranno ulteriori aggiornamenti ed approfondimenti sui personaggi, sulla storia e sui luoghi. Buona lettura! 

 I Titoli di “Meknès”

1) La Moglie del Sultano dal 24/10/2012 

2) Il Veleno della Principessa dal 31/10/2012 

3) L’Eunuco e la Favorita dal 07/11/2012 

4) L’Amore della Regina dal 14/11/2012