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giovedì 21 marzo 2013

Averroè. Tra religione e ragione

“Euclide geometra e Tolemeo Ipocrate, 
Avicenna e Galieno Averois, 
che ‘l gran comento feo” 
(Inferno, IV, 142-144) 

Particolare del "Trionfo di San Tommaso", Di Bonaiuto, Firenze
Averroè (Cordova 1126 - Marrakesh 1198) è, forse, il filosofo arabo più conosciuto in Occidente. Il suo pensiero, però, non può essere ridotto solo ai commenti delle opere di Aristotele, benché questi rappresentino una parte fondamentale dei suoi studi e delle sue teorie. 

A questo pensatore, infatti, viene attribuito il merito di aver restituito il “vero”, “autentico” Aristotele all’Occidente e all’Oriente. Averroè (Abū l-Walīd Muhammad ibn Ahmad ibn Muhammad ibn Rushd), nacque a Cordova, importante e fiorente centro di studi e non è ricordato solo come filosofo, ma anche come giurista e medico divenendo, inoltre, esperto di matematica, logica, astronomia e fisica. 

In Spagna suo padre e suo nonno furono celebri qadi (capi della giustizia) della scuola malikita. Egli stesso venne nominato qadi di Siviglia dal califfo Abu Ya’qub. Quando Averroè nacque il potere apparteneva agli Almoravidi, poi destituiti dagli Almohadi, dinastia attenta ed interessata al progresso scientifico e filosofico, che aiutò e protesse ed incoraggiò, sebbene se a fasi alterne, il giovane pensatore.

Furono gli stessi Almohadi, infatti, a perseguitare Averroè, arrivando perfino a far bruciare i suoi scritti e ad esiliarlo. Proprio per questo alcune delle sue opere ci sono note solo nella traduzione ebraica. Averroè, nonostante il suo rigore scientifico applicato alla religione ed il suo pensiero estremamente razionale, fu penalizzato dal clima di duro scontro tra la religione stessa e la filosofia che caratterizzò quegli anni.


Le opere ed il pensiero 

Si è già detto che gran parte della fama di Averroè deriva dall’aver tradotto e commentato le opere di Aristotele, restituendolo al mondo nella sua versione “autentica”. Che cosa si intende, in realtà, con questo termine? Averroè si concentrò sul pensiero di Aristotele, evitando qualunque tipo di confusione con Platone o Plotino. Analizzò e commentò, tra le altre, la Poetica, la Fisica, il De Caelo, il De Anima e la Metafisica. Il tramite tra Aristotele ed il mondo occidentale è rappresentato dalle traduzioni in latino delle opere di Averroè che iniziarono nel XII secolo. 

Statua di Averroè, Cordova
Lo scritto più importante rimane “Tahāfut al-tahāfut” (“Destructio destructionis philosophorum” in latino, “L’Incoerenza dell’incoerenza” in italiano) in cui il filosofo espone le idee di Aristotele ed il proprio pensiero confutando le critiche di Al Ghazali (1058-1111) nell’opera L’Incoerenza dei Filosofi” (Tahāfut al-falāsifa). Secondo Averroè, infatti, non vi è alcun tipo di contrasto tra religione e filosofia. Quest’ultima non è contraria all’Islam, come non lo è lo studio dei filosofi greci. Dunque la verità si può raggiungere sia attraverso la via religiosa, sia attraverso quella razionale e speculativa. Non mancano, nei commenti ad Aristotele di Averroè, delle interpretazioni che sfumano nella teologia. Per questo motivo sarebbe riduttivo sostenere che quest’ultimo abbia semplicemente commentato senza interpretare con l’apporto del pensiero filosofico islamico. 

Si deve ricordare, comunque, che Averroè crede nell’infallibilità del Corano e ritiene che compito del filosofo sia cercare di riflettere e trovare soluzioni sulle discrepanze. Il pensatore, dunque, non può arrogarsi il diritto di formulare o cancellare dottrine, ma solo interpretare in caso di conflitti o mancanza di consenso su determinati passi. 

ra le altre opere di Averroè, si possono citare il “Kitāb al-Kashf ‘an manahij al adilla” (“Libro della Rivelazione dei Procedimenti fallaci”), in cui viene criticata la scuola asharita, il “Kitāb fasl al-Maqāl” (“Il Trattato decisivo”), ulteriore difesa del lavoro e del ruolo del filosofo e un trattato di medicina “Kulliyat” (“Generalità”), tradotto in latino con il titolo “Colliget”. In quest’opera egli parla anche di autopsia, non considerandola pratica empia, ma affrontando la tematica da un punto di vista scientifico. 

Averroè, celebre anche nel campo della giurisprudenza viene ricordato, a tal proposito, per un’altra opera di grande importanza, il “Bidayat al-mujtahid wa nihayat al mutasi” (“Punto d’inizio per il giurista sommo e limite estremo per il giurista medio”). 

Si occupò anche di fisica, affrontando l’argomento dell’attrito e della forza applicata ai corpi. Trattò, inoltre, temi legati alla cosmologia e all’astronomia, intuendo che la luna non è una stella e teorizzò sulla natura immortale dell’anima, sull’unicità di Dio, i suoi attributi e la creazione. 

Un argomento rilevante è la predestinazione per cui Dio è misericordioso e vuole il bene, mentre il male è accidentale, ma se l’uomo fosse libero di agire e scegliere, a questo punto Dio non avrebbe legami col mondo. 


Conclusioni

Fotogramma tratto dal film "Il Destino" di Chahine sulla vita di Averroè (1997)
Averroè, un uomo che si trovò al centro di lotte politico-religiose e che pagò per la grande lucidità e razionalità di pensiero. I suoi scritti, letti e tradotti ancora oggi, rappresentano una parte importante del sapere che appartiene a tutta l’Umanità e, come tale, va protetto e studiato. 

Questo è un piccolo omaggio, che non pretende certo di essere esauriente, ma solo di offrire spunti di riflessione, ad uno dei tramiti più importanti tra l’Islam e l’Occidente, tra due culture e due filosofie che spesso si sono toccate ed anche scontrate

Con la forza delle idee Averroè non si fermò al commento di Aristotele, ma andò oltre, prova ulteriore (qualora ve ne fosse bisogno) che la filosofia islamica non è certo pedissequa imitazione di quella occidentale. 


Bibliografia 

Campanini Massimo, “Averroè”, Il Mulino, 2007; 

 Averroè, “L’Incoerenza dell’incoerenza dei filosofi”, curato da Campanini Massimo, Utet, 2006; 

Baffioni Carmela, “Storia della Filosofia islamica”, Mondadori, 1991;

Corbin Henry, “Storia della Filosofia islamica. Dalle origini ai giorni nostri”, Adelphi, 1991; 

Ulrich Rudolph, “La Filosofia Islamica”, ed. Il Mulino, 2006.

domenica 21 ottobre 2012

Meknès: lo splendore del deserto

Meknès, la città in cui è ambientata la saga omonima, è un vero e proprio gioiello. Antica capitale del Marocco sotto il regno di Moulay Ismail (1672-1727), si trova ad appena 60 Km da Fes e a 130 dall’attuale capitale Rabat.

Il suo nome deriva da quello di una tribù berbera (amazigh per la precisione), i Miknassa, che la fondarono nel 757. Il suo nome berbero è Ameknas, che in lingua tamazigh vuol dire “guerriero”

Meknès è una delle quattro città imperiali del Marocco insieme a Fes, Rabat e Marrakesh. La parte più antica è, dal 1996, patrimonio dell’umanità per l’UNESCO. Il nucleo originario di Meknès risale al’VIII secolo. 

Furono i Miknassa, giunti sul posto tra il IX e X secolo, a renderla una vera e propria città. Nel 117 d.C. la città cadde sotto il dominio dell’Impero Romano, ma conobbe anche la presenza di importantissimi dinastie islamiche: gli Almoravidi, che nell’XI secolo ne fecero la loro base militare, gli Almohadi, che la impreziosirono con la costruzione di moschee e fortificazioni e gli Alawiti, di cui Moulay Ismail fu il più illustre rappresentante. 

Fu quest’ultimo a rendere Meknès una città gloriosa, piena di giardini, porte monumentali, moschee e splendidi palazzi.

L’appellativo di “città dai cento minareti” deriva proprio dall’ingegno e dal gusto raffinato di questo sultano. Meknès è conosciuta anche come “la Versailles del Marocco” o “la piccola Parigi”. 

Ci sono moltissimi monumenti da ammirare, tra questi il Mausoleo di Moulay Ismail, aperto anche ai non musulmani; la Bab Mansour, la porta più maestosa di Meknès, iniziata sotto il regno di Moulay Ismail e terminata dal figlio Moulay Abdallah; Dar El Makhzen, residenza ufficiale, vero e proprio quartier generale dello stesso sultano; la Grande Moschea edificata dagli Almoravidi nell’XI secolo; il Museo Dar Jamai, che offre eccellenti esempi dell’arte marocchina. 

Per saperne di più, visitate il sito ufficiale dell’UNESCO.