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venerdì 11 gennaio 2013

“Emina” di Cristina Trivulzio di Belgioioso

“Emina” è un commovente romanzo scritto dalla principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso più di un secolo fa e ristampato solo nel 1997. Non è un’opera famosa, purtroppo e merita davvero di essere riscoperta.

La stessa autrice, affascinante e colta patriota italiana, è stata condannata dalla Storia ad un immeritato oblio. “Emina” è il primo romanzo della trilogia “Scénes de la Vie Turque”, ambientata nell’Asia Minore, proprio nei luoghi in cui la principessa di Belgioioso visse, da globetrotter ante litteram qual era, o visitò durante esplorazioni e pellegrinaggi. Le altre due opere sono, nell’ordine: “Un Principe Curdo” e “Le Due Mogli di Ismail Bey”

“Emina” è la storia di una bambina data in sposa ad un bey, Hamid, con il quale suo padre ha un enorme debito quasi impossibile da saldare. La giovane si ritrova, cosi, da semplice pastorella libera di vagare per i campi e le montagne a giovane moglie intrappolata tra i possenti muri di un harem

La vita non si preannuncia facile per l’ingenua Emina: nonostante la sua intelligenza ed il suo modo di vivere profondo, responsabile, devoto ed in costante sintonia con la natura che la circonda, tanto da farla apparire al lettore più matura dei suoi anni, la giovane non ha l’esperienza e la determinazione necessarie per affrontare le invidie e le gelosie che regnano sovrane in un harem.

Fin da subito, infatti, diviene il bersaglio preferito della prima moglie del bey, l’intrigante calcolatrice Ansha. Emina non trova conforto neppure nelle attenzioni del marito, che rasentano il paternalismo e l’indifferenza. 

L’autrice mette in evidenza l’inadeguatezza della protagonista ad un ruolo e a delle regole che le sono estranee e di cui non può capire le origini e la portata. Con il tempo, inoltre, la mancanza di comunicazione e complicità tra Emina e Hamid si fa ancora più profonda a causa dei mutati sentimenti della giovane sposa nei confronti del consorte; il timore viene sostituito dall’affetto che, lentamente, si trasforma in amore non ricambiato.

La situazione sembra non avere alcuna via d’uscita; Emina non riesce a spiegare i propri sentimenti ed i suoi tentativi di ottenere attenzioni portano a risultati opposti. Il destino, però, è imprevedibile. Può dare e togliere nello stesso tempo… 

Nel romanzo è costante la presenza dell’autrice che dedica ampio spazio alle descrizioni dei luoghi, dei personaggi e degli usi turchi, interrompendo la narrazione. Alla fine, quando Cristina di Belgioioso ed Emina si incontrano le loro due anime tanto diverse si fondono nella solidarietà femminile, nell’essere donne che hanno alle spalle un vissuto e parecchie sofferenze. 

“Emina” è un’opera molto diversa da quelle a cui siamo abituati oggi: non c’è ricerca di suspence, né di avventura e l’azione dei personaggi è piuttosto ridotta. La narrazione scorre grazie ad uno stile fluido ma non veloce

La già citata “intromissione” dell’autrice nella storia rallenta il ritmo, ma il lettore non ha mai la sensazione di noia o pesantezza. Si potrebbe dire che in questo romanzo è più forte l’attenzione verso i pensieri, le emozioni, insomma, l’interiorità dei personaggi che quella verso i loro gesti. Ogni atto è preceduto da una motivazione psicologica ben precisa che Cristina Trivulzio spiega con dovizia di particolari ad un lettore che non conosce gli usi e i costumi dei popoli dell’Asia Minore

Molto intensa ed interessante è l’immagine che l’autrice ci restituisce delle donne orientali: solo apparentemente sottomesse, in realtà sveglie, astute e piene di voglia di vivere. Nei suoi viaggi ella approfondì la conoscenza con molte di queste, studiandone le opinioni ed il modo di vivere e schierandosi dalla loro parte, a favore dell’emancipazione femminile, come evidenziato anche dai temi trattati in “Emina”

Cristina Trivulzio di Belgioioso seppe dare voce e comprendere nel profondo queste anime rinchiuse in gabbie dorate e considerate troppo spesso, dai viaggiatori occidentali, sensuali odalische passive, oggetti senza intelletto nelle mani dei loro padroni. 

Riscoprite la trilogia di Cristina Trivulzio, una donna anticonformista che rifiutò tutta la vita di assecondare le convenzioni sociali. Vi appassionerete ai suoi personaggi, alle sue storia ma, soprattutto, a lei. 


Il Libro

 
Titolo: Emina 

Autore: Cristina Trivulzio di Belgioioso

Casa Editrice: Luciana Tufani Editrice 

Pagine: 162 

Prezzo: 12.91 euro

Anno di pubblicazione: 1997 



Sinossi

Emina è uno dei tre racconti di Scénes de la Vie Turque, la raccolta ambientata nella regione dell’Asia Minore dove Cristina Trivulzio aveva vissuto per anni. Al centro dei racconti è la vita di donne dell’harem. Emina, la protagonista di questo romanzo breve, è una povera pastorella, data in sposa ancora bambina ad un bey, che si trova ad affrontare, senza sapersi difendere, l’ostilità della prima moglie del bey e che rimane vittima degli intrighi della rivale, ma anche dell’insensibilità del marito e soprattutto di una società alle cui regole è estranea.


Per saperne di più

Il mio articolo sul blog “Divine Ribelli” dedicato a Cristina Trivulzio di Belgioioso. 
La pagina dedicata all’autrice sul sito di Luciana Tufani Editrice.
La pagina dedicata al romanzo sul sito di Luciana Tufani Editrice.  


L’Autrice 

Donna affascinante, intelligente, indipendente, Cristina di Belgioioso (1808-1871) aveva troppe qualità da farsi perdonare. Per questo, dopo una vita avventurosa e nomade, venne quasi dimenticata. Fu una delle protagoniste della vita politica e culturale dei suoi tempi. Partecipò attivamente al Risorgimento e per questo venne costretta all’esilio. Visse a lungo a Parigi ed in Turchia. Giornalista e scrittrice, pubblicò articoli su numerosi giornali, tra cui Revue des Deux Mondes e diresse la Gazzetta Italiana e L’Ausonio. Scrisse saggi di politica e storia, resoconti di viaggio e racconti. Tra le sue opere si possono ricordare “Il 1848 a Milano e Venezia” e, nello stesso volume, “Della Presente Condizione delle Donne e del loro Avvenire” (Feltrinelli, 2011), “Ricordi dall’Esilio” (Paoline, 1978) e “Vita Intima e Nomade in Oriente” (Ibis, 1993).

martedì 4 settembre 2012

Ella Zahlan: l’arte della moda

Chi ha detto che la moda è solo frivolezza e bei vestiti che la maggior parte del genere umano non può permettersi? 

Disegnare abiti può essere un modo per fare arte, dar vita ad idee e sogni, mostrare la propria creatività. Questo è ciò che fa la stilista Ella Zahlan, determinata quarantenne libanese. 

La Zahlan è stata la prima stilista mediorientale a sfilare in Europa, presentando a Roma una collezione dedicata alla cantante libanese ottantacinquenne Sabah, emblema delle donne libere ed emancipate (è stata la prima donna ad indossare una minigonna nel mondo arabo). 

Molto nota in Libano, la stilista è una vera e propria icona del femminismo islamico contemporaneo. Nata in Africa, ha trascorso l’infanzia tra Europa e Medio Oriente. Dopo la laurea in Business Administration alla Lebanese American University e studi nel campo della moda, ha aperto il suo primo laboratorio creativo seguito da boutique che hanno conquistato l’approvazione del grande pubblico mediorientale e non solo. 

Ella Zahlan veste cantanti, attrici libanesi, ma anche aristocratiche di tutto il mondo arabo. Il suo stile è originale, dinamico ed incline alla multiculturalità. I suoi abiti, dunque, non sono solo per le donne che vivono dall’altra parte del Mediterraneo. 

L’incontro tra Occidente e Mondo Arabo è pienamente realizzato da ogni sua collezione. La donna di Ella Zahlan è simbolo di indipendenza, eleganza e raffinatezza. Un esempio di come la personalità possa passare anche attraverso i vestiti, da sempre considerati effimeri oggetti di un ancor più labile desiderio di bellezza.

Lo stile delle creazioni di Ella Zahlan è molto ricco, ma mai eccessivo. Grande importanza viene data anche agli accessori, capaci di illuminare ed impreziosire i tessuti, insieme a pizzi, cristalli, lustrini, perle e stampe. 

Attraverso questi abiti la Zahlan rompe le tradizioni sebbene, nello stesso tempo, tragga ispirazione proprio da quei modelli che stravolge ed oltrepassa con genialità

E’ la dimostrazione vivente che la moda, coniugata all’arte, al buon gusto, alla seduzione che non si trasforma in volgarità, può diventare uno strumento di espressione di sé, del proprio mondo e della propria essenza. 

La stilista ha dedicato anche una collezione alla cantante di origini egiziane Dalida, ricordandola come un mito di eleganza e cosmopolitismo ed elogiandone l’armonia tra la voce di velluto e la bellezza da dea. 

Siamo ancora certi che la moda sia solo una frivolezza? 

Per saperne di più su Ella Zahlan visitate il suo sito

mercoledì 29 agosto 2012

Femminismo islamico: cenni di storia

Il femminismo islamico nacque alla fine dell’Ottocento, seguendo le orme dei cambiamenti politici, culturali, sociali e storici innescati dalla nahdah, il fenomeno di rinascita del mondo arabo e islamico.

Nonostante le numerose interazioni tra il femminismo occidentale e quello islamico, quest’ultimo è sempre stato totalmente indipendente dai movimenti per i diritti delle donne europei e americani. 

Inoltre si caratterizzò fin da subito per l’orientamento nazionalista e la forte inclinazione verso il panarabismo. Il femminismo islamico nacque come reazione a due tipi di fattori: i primi, interni, erano legati al contesto sociale e riguardavano la ribellione alla segregazione sessuale attuata nell’Impero Ottomano. 

Le donne benestanti, infatti, uscivano raramente dalle loro case e sempre velate. Non avevano bisogno di lavorare ed erano escluse dalla vita pubblica. Questa segregazione divenne ben presto emblema di prestigio e di un elevato tenore di vita, ma anche di un’esistenza senza sbocchi e spesso opprimente.

I fattori esterni, invece, erano strettamente vincolati al dominio militare, culturale ed economico delle potenze europee e alle loro aspre critiche nei confronti della condizione femminile nell’Islam. 

Le femministe ritenevano che il percorso di liberazione della donna dovesse essere parallelo a quello per l’indipendenza e molti loro discorsi risentivano del sentimento anticolonialista. In più la percentuale di analfabetismo tra le donne era davvero molto alta e, in questo caso, la classe sociale non faceva la differenza. 

Le ragazze iniziarono a studiare verso la fine dell’Ottocento: le più abbienti con precettori privati, solitamente europei; le altre frequentando scuole pubbliche. 

In Egitto, patria di nascita del femminismo islamico, la prima scuola statale femminile venne inaugurata nel 1873. Ma fu solo nel 1929 che un piccolo gruppo di donne poté accedere all’Università del Cairo. 

Non si può dimenticare, inoltre, l’importante ruolo svolto dalle scuole missionarie cristiane, presenti in molti Paesi musulmani. Nei primi anni del Novecento iniziò un interessante dibattito sulla condizione della donna, portato avanti da uomini (parleremo, a breve, dell’influenza di intellettuali come Qasim Amin).

Dagli anni Venti del Novecento, però, anche le donne parteciparono fondando associazioni, salotti letterari femminili e giornali che trattavano apertamente la condizione femminile. Non solo queste riviste erano dirette da donne e si rivolgevano ad un pubblico femminile; ospitavano anche i loro articoli e le loro opere, mettendo in luce, secondo un’ottica femminista, pregi e difetti della condizione femminile dell’epoca. 

Il primo giornale femminile fu “Al-Fatah” (La ragazza), fondato da Hind Nawfal ad Alessandria nel 1892. 

Bibliografia 
 
Leila Ahmed: “Oltre il Velo. La donna nell’Islam da Maometto agli ayatollah”, ed La Nuova Italia, 1995;
Isabella Camera D’Afflitto: “Letteratura araba contemporanea. Dalla Nahdah a oggi”, ed. Carocci, 2006;
Hoda Sha’rawi: “Harem Years. The Memoirs of an Egyptian Feminist 1879-1924”, ed. Feminist Press, 1993;

venerdì 27 luglio 2012

Il Femminismo Islamico: donne in prima linea nella lotta per l’emancipazione

Con questo post introduttivo si inaugura una nuova sezione tutta dedicata al femminismo nel mondo arabo-islamico. 

Esistono ancora, purtroppo, persone che non conoscono le forti spinte per la rivendicazione dell’emancipazione e dei diritti umani per cui hanno lottato e continuano a lottare molte musulmane e cristiane

Il femminismo non è solo occidentale come, del resto, non lo è nemmeno il concetto di libertà. Molte donne, provenienti da diversi background culturali, religiosi e sociali, si sono esposte senza paura al fine di garantire un futuro migliore alle figlie, alle mogli, alle sorelle e alle madri nate e cresciute in Paesi arabi e/o musulmani. 

Il femminismo arabo-islamico non è certo un fenomeno recente: ha alle spalle più di un secolo di storia che l’Occidente sta riscoprendo poco a poco. I movimenti femminili, creatisi tra Ottocento e Novecento, hanno seguito un percorso parallelo a quello per la costruzione delle identità nazionali e dell’indipendenza politica. 

Purtroppo c’è sempre stata una certa resistenza a considerarli un passo fondamentale per il raggiungimento della libertà degli Stati arabi ed islamici. Il femminismo in questa parte di mondo, inoltre, non è un fenomeno omogeneo; per analizzarlo in modo esauriente, occorre tenere conto delle realtà regionali, sociali, politiche e religiose di ogni nazione.

E’ molto importante, poi, ricordare l’esistenza di una corrente femminista molto forte che propugna una rilettura del Corano dal punto di vista delle donne e si concentra su una radicale riforma delle istituzioni di stampo patriarcale

Per fare ciò occorrono due elementi: uno è l’ijtihad, ossia la ricerca sulle fonti religiose ed il tafsir, cioè l’esegesi coranica. Accanto a questo tipo di studi c’è anche l’analisi approfondita della vita del Profeta e delle sue mogli

La base su cui poggia questa prospettiva è molto semplice: la discriminazione femminile nasce da una distorta ed imparziale interpretazione maschile e maschilista delle fonti. La subordinazione creatasi a causa di questo processo ha portato all’esclusione delle donne dalla vita politica, sociale, dalla formazione di una giurisprudenza islamica e all’oblio delle grandi donne arabe e musulmane che hanno fatto la Storia. 

Dunque l’errore non è nei testi, ma nell’interpretazione di questi. Non nella religione ma nel modo di intenderla. Il messaggio del Profeta non è, secondo le teorie di queste studiose, né misogino né maschilista ed il Corano può essere reinterpretato alla luce dei nuovi tempi e delle nuove società.

Oggi, grazie ad Internet, ai libri e alle riviste, le femministe hanno modo di farsi conoscere e spiegare le loro idee al mondo intero. 

Esiste, infine, una differenza che non può essere trascurata: quella tra femministe musulmane ed islamiste. Le prime vogliono affermare un Islam progressista guidato da istituzioni governative laiche, le seconde, invece, chiedono la realizzazione di Stati islamici, o influenzati dalla religione nelle loro strutture politiche fondanti. 

Per questi due gruppi il ruolo centrale dell’Islam non implica un ritorno al passato, ma una rilettura sociale e politica che rispecchi le nuove esigenze del XXI secolo.

Bibliografia

Pepicelli Renata, “Femminismo Islamico. Corano, diritti, riforme” ed. Carocci, 2010; 

Ahmed Leila, “Oltre il Velo. La Donna nell’Islam da Maometto agli ayatollah”, ed. La Nuova Italia, 1992; 

Camera D’Afflitto Isabella, “Letteratura Araba Contemporanea. Dalla Nahdah a oggi”. Ed. Carocci, 2006.