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mercoledì 12 giugno 2019

Il Salvator Mundi è sul panfilo di un principe saudita?

Salvator Mundi. Fonte: Wikipedia
Non si hanno più notizie del dipinto Salvator Mundi, attribuito a Leonardo Da vinci, dal 2017, quando venne venduto all’asta per 450 milioni di dollari. Nuove indiscrezioni rivelano che sarebbe custodito sullo yacht del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman

venerdì 8 febbraio 2013

La casa del Profeta Muhammad e le prime moschee

La Grande Moschea di Medina e la tomba del Profeta (XIX sec.)
Le abitazioni dei primi musulmani non avevano uno stile architettonico vero e proprio. 
I beduini si servivano della tenda mentre, mentre nei grandi centri di La Mecca e Medina non esistevano delle tradizioni consolidate in tal senso.

Anche la moschea cosi come la si conosce oggi è il risultato di esperienze, pensiero e tentativi avvenuti nel corso degli anni, non di un’idea istantanea o preesistente. Le prime moschee di cui si hanno notizie sono quelle sorte in Iraq; la prima, a Bassora, consisteva solo di un perimetro tracciato con delle fascine, la seconda, a Kufa, risale al 638 e non aveva mura, ma solo un fossato e quattro frecce scagliate nei punti cardinali a delimitarla.

Nel 641-642 ad Al Fustat il conquistatore dell’Egitto Amr Ibn Al-As fondò una piccola moschea senza corte (venne aggiunta in seguito) che si ispirava alla sala ipostila egiziana.
La semplicità e l’essenzialità di questi primi luoghi di culto è data dal fatto che i musulmani, per pregare, hanno bisogno solo di sapere la direzione della preghiera e di uno spazio abbastanza ampio da accogliere tutti i fedeli. 

Moschea di Roma
Con il tempo, però, per questioni di comodità si preferirono gli spazi coperti e la moschea divenne non solo un luogo di preghiera sacro ed inviolabile, ma anche tribunale, scuola in cui si insegnava il Corano e punto d’incontro per prendere le decisioni riguardanti la comunità.

L’architettura delle moschee venne influenzata dallo schema adottato già nelle sinagoghe e dalle basiliche presenti nella nelle zone romane d’Oriente. 

In origine, inoltre, la direzione della qibla era segnalata dallo stesso Profeta piantando una lancia al suolo, ma solo dall’VIII sec. evidenziata attraverso il mihrab (nicchia). Esclusivamente nella moschea della comunità (masjid al-jama’a) si trova il minbar, ossia il seggio del Califfo, capo della comunità, o di un suo rappresentante, dal quale viene pronunciata la khutba (discorso, sermone) che in un primo momento era solo un discorso politico pronunciato il venerdì e tutte le volte che il capo doveva riferire su importanti questioni legate alla vita della comunità. 

Interno della moschea di Roma
Tra i modelli che ispirarono la struttura della moschea non si può dimenticare la casa del Profeta Muhammad a Medina. Costruita su un terreno quadrato di circa cinquanta metri per lato, l’abitazione appariva molto modesta, sul modello dei caravanserragli e circondata da un muro di mattoni alto circa tre metri. Sul lato nord, sotto una tettoia costruita con il fango, alloggiavano i seguaci meno abbienti del Profeta, che lo avevano seguito da La Mecca; a sud vi era un altro portico che il Profeta Muhammad usava per pregare e ricevere visite e sul lato orientale si alzavano le capanne di fango delle sue mogli.

La casa del Profeta mantenne il carattere privato fino alla morte del terzo califfo Uthman, quando Medina divenne una semplice provincia, una sorta di “città dei ricordi” e la casa divenne un monumento sacro del passato e della gloria di Muhammad. 

Da qui sorse la moschea che tutti conoscono, un’ampia sala circondata da una corte e dai portici, ma il processo per arrivare a ciò non fu breve e subì l’influenza di diversi stili architettonici ed artistici.

 Il “viaggio” del blog tra le moschee più belle e famose del mondo proseguirà nei prossimi post, perché l’arte e l’architettura islamica meritano di essere conosciute per l’originalità e la raffinatezza. 


Bibliografia 

Scerrato, “Le Grandi Civiltà-Islam”, Mondadori, Milano 1972;

Bausani, “Islam”, Garzanti, 1999

domenica 21 ottobre 2012

Meknès: lo splendore del deserto

Meknès, la città in cui è ambientata la saga omonima, è un vero e proprio gioiello. Antica capitale del Marocco sotto il regno di Moulay Ismail (1672-1727), si trova ad appena 60 Km da Fes e a 130 dall’attuale capitale Rabat.

Il suo nome deriva da quello di una tribù berbera (amazigh per la precisione), i Miknassa, che la fondarono nel 757. Il suo nome berbero è Ameknas, che in lingua tamazigh vuol dire “guerriero”

Meknès è una delle quattro città imperiali del Marocco insieme a Fes, Rabat e Marrakesh. La parte più antica è, dal 1996, patrimonio dell’umanità per l’UNESCO. Il nucleo originario di Meknès risale al’VIII secolo. 

Furono i Miknassa, giunti sul posto tra il IX e X secolo, a renderla una vera e propria città. Nel 117 d.C. la città cadde sotto il dominio dell’Impero Romano, ma conobbe anche la presenza di importantissimi dinastie islamiche: gli Almoravidi, che nell’XI secolo ne fecero la loro base militare, gli Almohadi, che la impreziosirono con la costruzione di moschee e fortificazioni e gli Alawiti, di cui Moulay Ismail fu il più illustre rappresentante. 

Fu quest’ultimo a rendere Meknès una città gloriosa, piena di giardini, porte monumentali, moschee e splendidi palazzi.

L’appellativo di “città dai cento minareti” deriva proprio dall’ingegno e dal gusto raffinato di questo sultano. Meknès è conosciuta anche come “la Versailles del Marocco” o “la piccola Parigi”. 

Ci sono moltissimi monumenti da ammirare, tra questi il Mausoleo di Moulay Ismail, aperto anche ai non musulmani; la Bab Mansour, la porta più maestosa di Meknès, iniziata sotto il regno di Moulay Ismail e terminata dal figlio Moulay Abdallah; Dar El Makhzen, residenza ufficiale, vero e proprio quartier generale dello stesso sultano; la Grande Moschea edificata dagli Almoravidi nell’XI secolo; il Museo Dar Jamai, che offre eccellenti esempi dell’arte marocchina. 

Per saperne di più, visitate il sito ufficiale dell’UNESCO.

lunedì 23 luglio 2012

Mahmoud Said: quando la rivoluzione passa attraverso l’arte

L’egiziano Mahmoud Said (1897/1967) è considerato il pioniere dell’arte egiziana moderna. Nato ad Alessandria d’Egitto, città che sarà più volte protagonista delle sue opere, frequentò le migliori scuole ed ebbe una educazione molto raffinata. 

Per assecondare i desideri paterni, si iscrisse alla facoltà di Legge, lasciando che l’arte diventasse niente più che un hobby. Nonostante ciò Said continuò a dipingere e, all’età di cinquanta anni, nel 1947, realizzò il suo sogno. 

Lasciò la professione di giudice per creare opere destinate a rimanere nella Storia dell’Egitto moderno. Mahmoud Said non fu certo un dilettante: ebbe la possibilità di approfondire lo studio delle tecniche artistiche in Europa e di confrontarsi con altri pittori egiziani del suo tempo.

Il suo stile rimane, ancora oggi, unico ed inimitabile: i soggetti preferiti dell’artista erano il paesaggio egiziano, la sua Alessandria, il Mar Mediterraneo ricco di colori e sfumature e le scene di vita quotidiana. Said, infatti, amava ritrarre contadini e contadine vestiti con abiti tradizionali, tirando fuori l’anima dell’Egitto con tutte le sue peculiarità. 
 
I colori sono vivi, brillanti, accesi, il tratto deciso e drammatico. Inoltre il contrasto tra luci ed ombre dona alle figure una tridimensionalità, una vivacità ed una vividezza senza pari. Mahmoud Said seppe conciliare le tecniche artistiche occidentali con i temi della cultura egiziana grazie ad un raro talento ed uno spirito d’osservazione notevole. 

Probabilmente il quadro più famoso rimane quello dedicato all’inaugurazione del Canale di Suez, avvenuta il 17 novembre 1869 alla presenza di Napoleone III, dell’imperatrice Eugenia e di un personaggio molto conosciuto ed importante per l’Egitto moderno: il Khedivé Ismail. Il dipinto è custodito nel Museo dedicato a Mahmoud Said, ad Alessandria. 

Questo luogo, una splendida villa costruita in stile italiano, fu la residenza del pittore ed oggi ospita anche dipinti di altri famosi artisti egiziani. Venne inaugurato nel 1973.