Fonte immagine: Ansa |
Da ore i giornali e i telegiornali parlano della morte del generale iraniano Qassem Soleimani, avvenuta all’aeroporto internazionale di Baghdad nella notte tra il 2 e il 3 gennaio scorsi.
Un’uccisione, come rivela il Pentagono, ordinata dal presidente americano Donald Trump e avvenuta attraverso un raid di droni.
Per quale motivo questo fatto rischia di compromettere gli equilibri già fragilissimi del Medio Oriente e chi era davvero Qassem Soleimani?
Il generale Soleimani era il capo delle forze speciali iraniane al-Quds e si occupava di operazioni militari e segrete all’estero. Potremmo dire che Soleimani sia stato una sorta di “eminenza grigia” degli eventi più importanti accaduti negli ultimi anni dalla Siria all’Afghanistan. Come ci ricorda il giornale Wired, la Cia ha definito il generale “il più potente funzionario che si trova oggi in Medio Oriente”.
Un personaggio vicinissimo all’ayatollah Khamenei e in grado di organizzare al-Quds in modo da farne uno strumento militare ben consolidato e potente. Finora gli Stati Uniti avevano accuratamente evitato di prendere di mira Soleimani, considerato un eroe nazionale in patria e molto influente nelle questioni politiche mediorientali. Il comunicato ufficiale diramato dagli Stati Uniti chiarisce che l’uccisione del generale è stata orchestrata con lo scopo di “evitare futuri attacchi iraniani”, in quanto Soleimani viene considerato dal governo americano la figura chiave nella morte di centinaia di soldati statunitensi.
Un personaggio vicinissimo all’ayatollah Khamenei e in grado di organizzare al-Quds in modo da farne uno strumento militare ben consolidato e potente. Finora gli Stati Uniti avevano accuratamente evitato di prendere di mira Soleimani, considerato un eroe nazionale in patria e molto influente nelle questioni politiche mediorientali. Il comunicato ufficiale diramato dagli Stati Uniti chiarisce che l’uccisione del generale è stata orchestrata con lo scopo di “evitare futuri attacchi iraniani”, in quanto Soleimani viene considerato dal governo americano la figura chiave nella morte di centinaia di soldati statunitensi.
Il Segretario di Stato Mike Pompeo ha affermato: “Vogliamo che il popolo americano e il mondo sappiano e capiscano che l’intelligence ci ha consentito di sventare una minaccia specifica e reale…” e ha evidenziato che rimane in piedi l’impegno americano alla de-escalation.
La risposta del Ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif non si è fatta attendere. Quest’ultimo, infatti, ha dichiarato senza mezzi termini: “Gli Stati Uniti si assumeranno la responsabilità di questo avventurismo disonesto”.
L’ayatollah Khamenei ha indetto tre giorni di lutto nel Paese e minacciato ritorsioni.
La morte di Soleimani non è un evento da sottovalutare e, come ha spiegato il New York Times, l’Iran potrebbe considerarlo un vero e proprio “atto di guerra”. In effetti i rapporti tra Stati Uniti e Iran si stanno complicando man mano che le ore passano. Le dichiarazioni del presidente Rohani, che ha definito gli Usa “criminali”, parlando di vendetta e quelle di Khamenei, che ha invitato gli Stati Uniti a “preparare le bare” per i suoi militari, spaventano ancora di più l’opinione pubblica.
Su Twitter l’analista politico e scrittore Hassan Hassan ha definito l’uccisione di Soleimani “la più significativa e importante dell’ultimo decennio”.
L’ordine di eliminare il generale iraniano è arrivato a soli due giorni di distanza dall’assalto all’ambasciata statunitense in Iraq, che ha provocato più di sessanta feriti. Un gesto che gli Usa hanno imputato all’Iran e che scaturisce dalle continue e crescenti tensioni tra questo Paese e gli Stati Uniti.
Per ora non sappiamo se questa escalation porterà a un nuovo conflitto in Medio Oriente, se inasprirà il caos già esistente in quelle zone.
Sembra che il presidente Trump non voglia una guerra (la strategia del presidente non è ancora chiarissima), ma a questo punto dobbiamo attendere la prossima mossa dell’Iran. Ciò che accadrà dipende, in gran parte, dalla risposta politica di Teheran.
Inoltre non possiamo escludere che in una situazione del genere vengano reiterati attacchi terroristici e informatici.
Su Twitter l’analista Narges Bajoghli ha spiegato che alcuni militari iraniani avrebbero creato delle connessioni con altri gruppi sparsi in Medio Oriente, per esempio con Hezbollah. L’analista ha chiarito: “La struttura delle guardie rivoluzionarie…permette la creazione di leadership ad hoc…le guardie permettono a gruppi di uomini all’interno dei loro ranghi di esercitare iniziativa e creare leadership. Gli Stati Uniti hanno appena ucciso una figura popolare in molti settori, una figura che era anche un funzionario statale dell’Iran. Il suo è stato un assassinio altamente simbolico. Il problema è che il simbolismo ha il potere di muovere la gente…di provocare reazioni violente”.
È probabile che l’Iraq, teatro della morte di Soleimani, non rimanga in disparte nel caso di un conflitto. Già ora, come ci informa Il Post, starebbe subendo delle forti pressioni dall’ala filoiraniana delle milizie irachene.
La tensione tra Iran e Stati Uniti iniziò l’8 maggio 2018, quando Trump ufficializzò il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano (2015).
L’accordo prevede l’impegno alla riduzione dell’uranio arricchito in Iran in cambio della rimozione delle sanzioni internazionali sullo sviluppo nucleare nel Paese. Dall’annuncio del ritiro statunitense i rapporti diplomatici Usa/Iran sono andati via via deteriorandosi fino alla morte di Soleimani, che rischia di scatenare gravi disordini. Siamo tutti in attesa di capire cosa accadrà.
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